mercoledì 30 ottobre 2013

I declare war





Un gruppo di 12enni si ritrova in un bosco armati di bastoni, gavettoni e tanta fantasia.
Giocano a farsi la guerra. Usando l'immaginazione i bastoni diventano MG, bazooka, pistole. I gavettoni diventano granate.

Da una parte PK, abile generale che non ha mai perso una battaglia, dall'altra Jess, l'unico avversario in grado di tenergli testa. E poi c'è Skinner, per cui la vittoria rappresenta qualcosa di profondo ed inquietante. E sarebbe disposto a tutto pur di ottenerla.
Il gioco consiste in catturare la bandiera dalla base avversaria seguendo alcune semplici regole:
respawn entro 10 secondi, se si viene colpiti da una granata si torna a casa, la conquista della bandiera determina la vittoria.
Presto però lo spettatore capisce che per questi ragaazini il gioco è ben più importante del divertimento. E il confine tra il lecito e l'illecito è continuamente attraversato.

Film canadese del 2013, copertina che fa il verso a Platoon, questo I declare war è una bella metafora della guerra. Nessun eccessivo simbolismo che un po' mi avrebbe fatto girare le scatole (l'umanità è cattiva, oh dio com'è cattiva) ma una resa davvero interessante su quello che effettivamente è la più rappresentativa manifestazione della natura umana, cioè la guerra.
Parliamo di quello che fanno questi ragazzi.
Giocano.
Cos'è un gioco? Un insieme di regole atte al raggiungimento di un determinato scopo.
Che può essere divertirsi, ma non necessariamente.

L'obiettivo principale della maggior parte dei giochi è la vittoria. La competizione allo scopo di vincere.
Certo esistono giochi che si fanno esclusivamente per divertirsi. Mi vengono in mente i giochi di ruolo narrativisti (dedicherò un post alla teoria forgista un giorno o l'altro).

Però l'obiettivo principale degli altri giochi è la vittoria.
La guerra è il gioco totale. Regole in divenire il cui scopo è vincere. Anzi, lo scopo è così potente che spesso le regole si adattano allo scopo stesso.
Il divertimento è secondario ma non meno importante.
I ragazzi del film di fatto cercano l'affermazione, che di fatto è gratificazione.
Ma non solo.
La scelta interessante è stata scegliere come protagonisti un gruppo di 12enni. Se il paragone immediato è "Il signore delle mosche" siamo però un po lontani dalla resa.
12 anni è l'età limite, in termini occidentali, dell'infanzia. Si passa dall'essere bambini ad essere quella classificazione totalmente confusionaria e inapplicabile a società prive dell'opulenza del superfluo chiamata adolescenza.
Questi ragazzi sono vestiti in jeans e maglietta ma si vedono con mimetica e pitture di guerra. Imbracciano bastoni e gavettoni ma li vedono come fucili e granate.
usano l'immaginazione per equipaggiarsi da adulti. Vedono il sangue e le esplosioni. E superano spesso il confine tra il sangue immaginato e il dolore realmente inflitto.

Un film indubbiamente interessante, seppure con diversi limiti.
Per ricordarsi cos'era la preadolescenza.

Link IMDB




giovedì 10 ottobre 2013

The last of Us - impressioni sul gioco totale

Sono passati circa due mesi da quando ho visto scorrere sullo schermo l'elenco dei creatori di The Last
of Us (TLoU).
Parlare di questo gioco è una cosa difficile per molteplici ragioni.
In primis perché ne è stato parlato a lungo e in tutte le salse.
Sia da persone autorevoli che da semplici amatori (come il sottoscritto) sono stati versati torrenti d'inchiostro virtuale.
È stato definito il gioco dell'anno, il miglior survival di sempre, killer application, must have etc etc.

Per me TLoU è, ad oggi, il connubio perfetto di quello che un videogame dovrebbe essere.
La storia è presto detta.
L'umanità è sull'orlo dell'estinzione a causa di un'infezione che trasforma gli infetti in mostri assetati di sangue. Simili agli infetti di 28 giorni dopo o La città verrà distrutta all'alba, queste creature sono estremamente aggressive, privi di istinto di autoconservazione e immuni al dolore.
In oltre si evolvono.

L'infezione è causata da un particolare tipo di cordycep, fungo parassita realmente esistente in natura che attacca altri funghi o artropodi.
un clicker
Nel caso di specie il Cordycep entra nel sistema sanguigno dell'ospite attraverso due canali di diffusione. Aerobica, quindi attraverso spore oppure per contatto di liquidi corporei.
Gli infetti quindi sono uno dei canali di infezione.

Due giorni dopo l'aggrssione le spore raggiungono la corteccia cerebrale e cominciano a fruttificare. Quindi dopo 48 ore si entra nel primo stadio di infezione.
Il berserker, uno dei nemici più pericolosi di GoW
Attraversano 4 stadi, runner (le prime fasi dell'infezione), stalker (seconda fase, coriacei e subdoli), clickers (ciechi ma sensibili al rumore, come concetto simili ai Berserker di Gow). L'ultima fase sarebbe uno spoiler e quindi la risparmio.

Nel gioco vestiamo i panni di Joel, un contrabbandiere che vive di espedienti in una città fortemente militarizzata. A Joel viene chiesto di scortare la giovane Ellie verso il quartier generale delle lucciole (Firefies, in italiano le Luci). Ellie potrebbe costituire l'ultima speranza per un'umanità morente.

evoluzione degli infetti
Ecco, il gioco è questo. Anzi no.
Questa è solo la trama di base. Niente di trascendentale, niente di originalissimo. Qualche spunto per differenziarsi. Il fungo al posto dello stra-abusato virus. E tutti i cliché della letteratura post-apocalittica. Antieroi, mondo che lentamente torna allo stato selvatico, umanità cattiva.

Eppure è senza dubbio il gioco migliore a cui abbia mai giocato.
Perché, ed è un'opinione personale, un gioco deve essere la fusione perfetta tra un film, un romanzo e un videogame. TLoU lo fa' egregiamente.
Il gameplay è infatti piuttosto lineare, non ci sono svolte morali o decisioni da prendere. Non ci sono finali multipli (DLC permettendo, ma queste sono le regole idiote del marketing).
Il gioco illude la libertà di azione che, spesso, è nemica della trama.
E una trama come quella di TLoU davvero non si può permettere di essere modificata per delle scelte bacchettone.

Il rapporto che si crea tra i personaggi a mio avviso fatica ad esplodere e coinvolgere. Quando però accade succede qualcosa di immenso. Si partecipa alle scelte (imposte) di Joel, si sorride ascoltando i discorsi di Ellie. Si pensa. Si guarda e si vive il gioco come si guarda e si vive un film.
La caratterizzazione dei personaggi è qualcosa di insuperato (Heavy Rain ci è andato molto vicino).
Ogni personaggio intendo. Chiunque entri nella storia è originale, vivo, con motivazioni a volte dettagliate e a volte lasciate alla fantasia del giocatore.
E poi il level design è avvolgente, stupefacente e tanti altri aggettivi che userei a sproposito per far capire quanto questo gioco sia realmente un qualcosa che va giocato.

Il rapporto che si crea tra joel ed Ellie, i motivi per cui si crea rendono davvero questa storia spelndida ed unica.
Perché TLoU è di fatto una stupenda ed ossessiva storia d'amore e di riscatto in un mondo ormai prossimo a sbarazzarsi della specie umana.

Qui la Wiki dedicata e qui il sito della Naughty Dog.

martedì 1 ottobre 2013

UTOPIA - Recensione


"Where is Jessica Hyde?"
La domanda posta ossessivamente dal''inquietante Arby (ma si scriverà proprio così?) accompagna la prima di sei puntate di questo serial inglese splendidamente realizzato.
Utopia parla di cospirazione e cosucce come illuminati e new world order.
Parafrasando, chiaramente ma di fatto è quello che fa.


Andiamo con ordine.
Utopia Experiement è una graphic novel leggendaria.
Sembra contenere le profezie di tutti i disastri avvenuti sul finire del secolo scorso.
Si tratta di un'opera d'arte potente e pericolosa perché chi ne entra in qualche modo in contatto rischia di diventare il bersaglio delle attenzioni del Network, una spietata organizzazione che regge le fila del destino del mondo.
Si favoleggia in oltre che esista un sequel di Utopia in grado di spiegare gli obiettivi del Network.
Quando un gruppo di collezionisti viene informato che uno di loro è in possesso delle tavole leggendarie, si scatenerà una terribile caccia all'uomo.

Utopia è quel tipo di telefilm.
Cospirazioni, paranoia. Ogni personaggio nasconde qualcosa. Il buono e il cattivo sono concetti relegati alla superficialità. Relativismo morale di quelli davvero estremi.
Megacorporazioni che pensano esclusivamente al profitto. Individui privi di qualsiasi remora. Stragi, omicidi, torture. E tanta tanta tanta paranoia.

Sei puntate che scorrono come sei proiettili sparati in sequenza.
Con la consapevolezza di non sapere bene da che parte schierarsi. Con la consapevolezza che forse ognuno ha le sue buone ragioni.


Immagini di forte impatto e la sensazione che qualcosa di enorme stia per succedere ci accompagnano durante tutta la visione, mentre le rese grafiche omaggiano sia Watchmen (il giallo ossessivo, le borse che sembrano gli smile dell'opera di Moore/Gibson) che Arkham Asylum di Morrison/McKean nella realizzazione della graphic novel stessa.

Tra le serie tv viste quest'anno (Les Revenants, In the flesh, Black Mirror) è decisamente quella che ho apprezzato di più.
Sia perché le tematiche del complotto mi affascinano, purché restino relegate nell'ambito della fiction. Sia perché è un thriller che, in fondo è sia verosimile che, ahimè, condivisibile.

Da non perdere assolutamente.

martedì 24 settembre 2013

Shadowrun Returns




Capita più o meno a tutti di avere dei pregiudizi.
Chi più chi meno.
Ad esempio, non ho mai letto la saga di Twilight ma so già che mi farebbe schifo. Non guardo per principio i film con De Sica. Non mangere gli insetti.
Insomma, ho un giudizio su qualcosa di cui non ho esperienza.

Non è sempre un male, ma lo è quasi sempre.
Uno dei miei pregiudizi è legato al fatto di non riuscire a concepire un merge di fantasy e fantascienza.
La cosa che più si avvicina è, secondo me, la saga di guerre stellari, che però ha una mitologia tutta sua e tutta particolare. E che comunque non mi fa impazzire.
Ma per quello che riguarda il classico high fantasy alla D&D (nani, elfi, draghi, orchi e maghi) unito al cyberpunk ecco, in quel caso, pregiudizio totale.
Insomma, un nano con un cannone Arasaka o un elfo con un impianto sessuale del dott. Studd davvero...no davvero?

Però c'è chi è riuscito a fare un merge ed il risultato è davvero niente male.


Shadowrun è di fatto un rpg (da tavolo, non elettronico) datato 1989 ed ambientato nel 2050 dove, a seguito di un evento particolare, la magia è tornata sulla terra nel momento in cui la tecnologia si stava sviluppando a ritmi vertiginosi (fusione uomo macchina, realtà virtuale, biotecnologie).
Insieme alla magia quindi entrano nel mondo tutte le creature appartenenti al mito, dai cosiddetti metaumani (elfi, troll, orchi, nani) ad altre creature extradimensionali etc etc.

Detto così sembra uno schifo perché l'idea mi è sempre risultata un minestrone che cerca di creare qualcosa di nuovo fondendo delle cose preesistenti ma senza aggiungere altro. Insomma, ho alle spalle anni di partite come giocatore di ruolo. Inizia proprio con D&D e poy Cyberpunk 2020, ma una fusione dei due giochi...mai.
Eppure.
Eppure a giugno di quest'anno un gioco indie entra nel radar.
Ll gioco si chiama Shadowrun Returns ed è di fatto la trasposizione di Shadowrun con il gameplay dei primi Neverwinter.


Ci si crea il personaggio, si sceglie la razza, la professione, le skills.
E subito si viene catapultati in un mondo oscuro ma verosimile per la sua assurdità.
Si farà la conoscenza di un nano coroner, un troll capo della sicurezza, un importante industriale elfo e un gruppo di fanatici religiosi.
Il gioco è caratterizzato da tonalità cupe da da uno humor scarno e cinico ma supportato da una trama davvero appassionante.
Di fatti verremo incaricati da un nostro vecchio compagno di avventure ormai morto di smascherare il proprio assassino. Il tutto in un susseguirsi inaspettato ma totalmente coerente rispetto al setting.

Oltre alla trama principale è poi presente un editor per creare le proprie avventure e condividerle.

Insomma, da provare.
Nonostante il pregiudizio.

giovedì 19 settembre 2013

3Narratori (più tre)



Finalmente è uscito l'ebook!
Parlo dei 3Narratori, concorso indetto da Salomon Xeno dove veniva richiesto di presentare un racconto di genere fantastico (il termine è volutamente ampio).
La giuria ha giustamente premiato tre ottimi racconti e ha magnanimemente deciso di inserire ulteriori tre racconti.
Uno di questi è stato scritto da me medesimo.
L'ebook è scaricabile a questo indirizzo.


E qui è possibile vedere il blog di Paola Cocchetto, realizzatrice della splendida copertina.

I racconti vincitori sono:
  1. Pochi anni scelti della mia vita, di Alessandro Madeddu
  2. Re della notte, di Moreno Pavanello
  3. Derowen, di Maria Cristina Robb
I racconti che sono comunque piaciuti e sono stati inseriti nel racconto
  1. Denocciolati, di Marco Migliori
  2. Lezione di botanica, di Alessandro Forlani
  3. La Locanda, di Mauro Ruggieri (me medesimo)
Che dire, per me è stato un onore comparire in una raccolta dove c'è anche Alessandro Forlani, che scrive, secondo il mio modesto parere, da dio.

Un ringraziamento particolare lo devo rivolgere a  Camilla P. per il prezioso lavoro di editing e soprattutto a Salomon per essere riuscito a portare a compimento una bellissima iniziativa.

Spero che i racconti vi piacciano.
Sono leggibili in formato epub, mobi e anche con caliber se non avete un reader (c'è comunque anche un plug in di firefox che funziona molto bene)

lunedì 9 settembre 2013

The Ocean at the end of the lane - Neil Gaiman



Sandman in una delle rappresentazioni più celebri


Di Gaimann ho letto American Gods e Anansi Boys, entrambi ambientati, credo, nello stesso setting narrativo. Poi Stardust, Coraline. E svariati fumetti legati al personaggio Sandman.

Come posso descriverlo come scrittore?
E' fantasioso, questo è indubbio. Abile a creare dei personaggi fiabeschi, insoliti e delicati. Abile a creare situazioni di orrore che emergono dalla normalità per sfociare nell'inaspettato. Abile a tenere vivo l'interesse senza colpire con frasi memorabili ma con lo storytelling puro e semplice.
Ecco, TOATEOTL è un po' un sunto di tutte queste qualità, con qualcosa in più e, ahimè, qualcosa di meno.

La trama in poche righe:
Il libro inizia narrando in prima persona il ritorno del protagonista nel paese natale, probabilmente per un funerale. Dopo qualche peregrinazione, si ritrova alla fattoria confinante con la sua vecchia casa, la fattoria degli Hempstock. E da li partono i ricordi della sua infanzia, legati alla piccola di casa Hempstock, Lettie, e di come, più di 40 anni prima, un uomo che aveva affittato una stanza presso la casa dei suoi genitori si era suicidato in auto, scatenando forze al di la della comprensione umana (o meglio, degli adulti).

L'oceano del titolo è un laghetto che la piccola Lettie chiamava oceano, perché, di fatto, quello che rende un oceano tale sono solo le dimensioni. E dalla giusta prospettiva.
Ed è di questo che parla questo libro o meglio, questa novella. Di prospettive. La prospettiva del narratore è sempre quella di un bambino amante della lettura, amante dei gatti, con una fervida immaginazione che serve a rimpiazzare la mancanza di caratura sociale. Un bambino che ama esplorare sentieri nuovi e nascondersi tra le pagine dei libri, dotato di una grande sensibilità e sconvolto dalla morte come avvenimento che prepotentemente si incastra nella sua vita. La morte autoinflitta.

http://comicbook.com/wp-content/uploads/2013/02/ocean-at-the-end-of-the-lane-gaiman.jpgTOATEOTL è sostanzialmente una fiaba autobiografica, il racconto nero della crescita e della perdita dell'infanzia come dimensione del tutto è possible. La morte, il dolore, la frustrazione assumono in questo racconto le maschere del fantastico, esseri immensi gonfiati dal vento e retti da uno scheletro putrefatto oppure che fingono di essere ciò che non sono. Avvoltoi del vuoto. Genitori lontani e incompleti.

Ecco, il tema è stato affrontato più volte. Coraline in particolare. Ma anche Mirrormask. La cosa interessante è che cercando su internet sembra davvero che Gaiman in gioventù fosse stato testimone di un episodio analogo.
Un membo di Scientology, setta di cui il padre di Gaiman faceva parte si tolse la vita proprio nell'auto della sua famiglia.
Ecco l'intervista dell'epoca rilasciata da un giovanissimo (7 anni, come il protagonista del libro) ma estremamente maturo (come il protagonista del libro) Neil Gaiman:

E questo è forse il punto debole, a mio avviso, del libro. Niente in contrario su come un'opera catartica o terapeutica possa diventare un'opera letteraria; il difetto emerge nel momento in cui alcuni aspetti rimangono superficiali o peggio ancora riservati quasi esclusivamente a chi conosce la vicenda davvero da vicino. Non una rielaborazione, quindi ma una confessione. Uno svuotarsi la coscienza.
E credo che ci siano altri strumenti per far questo.

Nel complesso però mi sentirei di consigliare un libro che ha ricevuto, a livello unanime, ottimi riscontri

lunedì 2 settembre 2013

Still Alive

Un brevissimo post solo per dire che il blog non è morto.
Nei prossimi giorni preparerò tre recensioni su:
un videogame
un libro
una serie tv.

E poi un articolo dedicato a The Last of Us.

Stay tuned

martedì 16 luglio 2013

Addio, amico mio

Domenica scorsa è morto il mio migliore amico.
E' stata una cosa inaspettata, veloce e terribilmente dolorosa.
Porto dentro di me le ferite che solo una separazione ingiusta e immediata può causare.
Come tutti ho subito numerose perdite nel corso della vita.
La vità è fondamentalmente un insieme di legami che si creano e si lacerano.
Non siamo individui, ma dei nodi che si legano ad altri nodi che si legano ad altri nodi, come una rete. Come una costellazione.
Questa fino ad ora è stata la separazione più dolorosa.
Nel mio blog avevo in mente di parlare solo di cinema, di fumetti, di videogames e libri. Entertainment, per dirlo con un tono.
Però tutto questo scompare oggi, di fronte alla necessità di mettere a nudo il mio dolore, la sofferenza che mi lacera lentamente.
Passerà? Certo, perché il tempo cura tutto. Per ora però quello che sento è una lucida e spietata lama che mi fa lentamente a pezzi.
So che un giorno tutto quello che mi resterà saranno i ricordi dei tanti, tantissimi momenti felici che mi hai lasciato. Anzi, in sei anni di vita insieme solo quest'ultima settimana, la settimana in cui sei morto, la settimana in cui la malattia che ti ha sbranato strappandoti da me, posso dire che sia stata brutta.
In sei anni passati insieme mi hai reso una persona migliore.
La tua allegria, il tuo amore verso la vita, la tua voglia di gridare al mondo la tua felicità.
I tuoi sorrisi, il tuo profumo, tutto di te mi manca.
Quello che mi resta per ora sono gli ultimi istanti, il tuo boccheggiare mentre lentamente la vita ti abbandonava, l'acre  odore della malattia che si sollevava dal tuo corpo, le contrazione del tuo addome, ritmate, veloci e delicate..
Mi sento in colpa per non essere riuscito a proteggerti, per non essere stato in grado di difenderti.
Un giorno tutto questo sarà dimenticato. Un giorno mi ricorderò solo della bellezza del tuo esistere, del tempo che mi hai donato, della capacità che avevi di riempire il vuoto delle mie giornate.
E per sempre rimpiangerò la possibilità di non poter creare con te nuovi ricordi ma i tanti che mi hai regalato li custodirò gelosamente.
Addio amico mio, mi mancherai fin che avrò vita.

giovedì 4 luglio 2013

Hater - David Moody


David Moody è un ex impiegato di banca con il pallino della scrittura.

Nel 2001 pubblica, gratuitamente online, un libro intitolato Autumn. E' un successo grazie ad un fitto passa parola. Il libro diventa una serie, vengono venduti i diritti per realizzarne un (brutto) film, e David può diventare uno scrittore a tempo pieno.
Il libro è oggi distribuito non più gratuitamente ma è comunque possibile reperirne delle copie.
Autumn è una apocalypse zombie story che parte nel modo più classico possibile e si sviluppa in modo originale ed inaspettato.
Il libro merita.

Capita che trovo un altro libro di Moody, Haters, parte di una trilogia (c'è qualcosa, oggi, che non sia parte di una trilogia?) e lo leggo senza enormi aspettative, dato che so cosa aspettarmi. Solita roba da fine del mondo, solita roba tipo 28 giorni dopo, ma dato che Autumn mi è piaciuto, ci provo.


La trama in breve: la vita tranquilla di un impiegato pubblico viene sconvolta dalle crescenti esplosioni di violenza irrazionale che sembrano colpire casualmente le persone. I sempre più frequenti casi di follia sembrano interessare non solo la città o il paese di Danny, ma il mondo intero.

Il libro è scritto davvero bene, la disperazione nella routine del nostro protagonista è palpabile. I giorni grigi e monotoni, una vita senza prospettive, una famiglia invadente e sempre meno spazi. E poi la follia del mondo, dapprima lieve, flebile, occasionale. Poi sempre più minacciosa. Fino ad arrivare ad un sorprendente cambio di scena, tanto inaspettato quanto efficace.

Sebbene quindi non ci si muova nell'ambito dell'originalità e dell'innovazione più ambiziosa e sfrenata, si tratta di un romanzo godibile, veloce e di buon ritmo, dove l'ordinaria e soffocante vita del protagonista viene lacerata da repentine ed improvvise esplosioni di azione e violenza, effetto che rende la lettura in costante attesa di qualcosa che sta per succedere. E di fatto succede.

Mi sento di consigliarlo? Si, in definitiva si.
Leggerò gli altri due libri? Probabilmente, ma ho bisogno di una pausa dalle apocalissi, almeno per un po'.
So che è in procinto la realizzazione di un film di hater prodotta da Del Toro.

Curiosità, il romanzo d'esordio di David, Straight To You, parla dell'ultimo giorno del pianeta Terra, prima che il Sole si spenga. Simile a un racconto di Matheson, se non ricordo male; scrittore nei cui confronti Moody è pesantemente debitore.

mercoledì 12 giugno 2013

Lo Schiacciaporci - Simone Corà

Come dicevo qualche post addietro, non sono un recensore.

Non mi piace dare voti, non sono bravo ad analizzare.
Questo non significa che non abbia dei gusti e che sia mio interesse appunto condividere questi gusti.

Il mio fedele ebook reader mi accompagna da un paio di anni e grazie ad esso sono riuscito ad accedere al meraviglioso mondo delle auto-produzioni letterarie.

Ecco, leggere roba autoprodotta è come fare il cercatore d'oro. Quello col setaccio. Filtri tanta tanta tanta melma per scovare una pepita d'oro. Anche piccolina.

Così, cercando su internet mi avvicino a questo racconto lungo dal titolo affascinante.


Lo Schiacciaporci.
La trama: Matteo Brighi è assessore al turismo con una forte esperienza nel folklore locale. Si occupa di condurre spedizioni turistiche nelle grotte del Giorgino.
Le grotte del Giorgino sono famose, nei dintorni del paese, per essere state la casa di un vecchio eremita, Giorgio Cavali, detto simpaticamente il Giorgino per via della sua enorme circonferenza e di un peso tanto massiccio che, così dicono le voci, gli impedivano addirittura di camminare
Nella spedizione in questione accompagna tale Ivan, figuro rigido a metà tra Geralt di Rivia e Rambo, con un senso dell'umorismo simile a quello di Lobo. Ah, Ivan è un cacciatore di mostri e sembra che nelle grotte del Giorgino di mostri ce ne siano in abbondanza.


Cosa mi è piaciuto.
La contrapposizione tra i due personaggi (Ivan e Matteo), il primo un freddo e cinico cacciatore con un senso dell'umorismo da action hero anni '80, il secondo un normalissimo e spaventatissimo impiegato pubblico catapultato in qualcosa più grande di lui.
La copertina, figherrima.
L'ironia weird, pervasiva e che tiene alto il ritmo del racconto
Il ritmo, dettato da capitoli molto brevi, a struttura non lineare e che invogliano a vedere cosa succede.
Alcune metafore sono originali ed azzeccatissime come ad esempio
Fu in quel momento che la piccola creatura liberò gli aculei, un manto di spine che sembrava aver trattenuto come una lunga pisciata

Cosa non mi è piaciuto:
è davvero breve, ma non è un difetto, nel senso che avrei voluto leggerne ancora
finale abbastanza prevedibile
alcune metafore sono poco azzeccate, come ad esempio
sentivo lo sguardo di Ivan piantato sul mio collo come i canini di un vampiro centenario

L'epub è reperibile sia sul blog dell'autore che da Ebook Gratis, preziosa risorsa per il mio reader

venerdì 31 maggio 2013

Vigilanti, supereroi e wannabe



Quante volte, di fronte ad un'ingiustizia più o meno palese, vi siete sentiti come soffocare dalla rabbia?
Vi è mai successo di sentirvi parte di un sistema che non tutela i diritti dei più (onesti) ma che difende, o peggio permette, ai disonesti di scorazzare liberi e indisturbati?
Vi è mai capitato di immaginarvi irrompere nel mezzo di una rapina, un tentativo di violenza, un furto e sgominarlo per poi scomparire senza chiedere una ricompensa ma essendo appagati esclusivamente dalla consapevolezza di aver reso, anche se per poco, il mondo un luogo migliore?

Se la risposta è si a tutte le succitate domande, allora dovreste seriamente prendere in considerazione l'idea di diventare un vigilante mascherato, un eroe (super?) al servizio del bene comune.


Physique du Role
Però, perché c'è sempre un però, tenete conto che le ossa si rompono, i proiettili uccidono, correre stanca e avere un discreto equipaggiamento comporta un discreto investimento di denaro.
Quindi prima di prendere in considerazione l'idea, sarebbe necessario documentarsi bene per capire quelli che sono i pro e soprattutto i contro di un'attività del tipo "difendere gli innocenti a scanso del pericolo". 


Per farsi un'idea, come per ogni cosa, è bene documentarsi.
Ci sono diversi film che a mio avviso trattano l'argomento in modo intelligente e per niente scontato.
Ecco un breve escursus di alcune pellicole particolarmente interessanti e soprattutto utili a farsi un'idea di come sarebbe la vita da vigilante.

Boy Wonder - film americano del 2010, tratta del tema nell'ottica del senso di vendetta. Sean ha visto la propria madre venire assassinata durante un tentativo di rapina. Cresce covando un senso di odio verso tutta quella che è la delinquenza e una profonda sfiducia nella giustizia. Studia, si allena duramente e cerca i cattivi per ucciderli. La sua strada incrocerà a doppio filo quella di Teresa, detective della squadra omicidi. Sean è spietato, metodico, sociopatico. Ma ha un piano. Come vigilante è del tipo Punisher.

Super - film del 2010 ad opera di James Gunn (tra l'altro sceneggiatore di Dawn of the dead e regista di Slither) con protagonisti Rainn Wilson ed Ellen Paige. Frank è un tipo mediocre, in sovrappeso e con un lavoro senza sbocchi che ha sposato una donna stupenda. Nel momento in cui le viene portata via da un delinquentello locale, in Frank scatta qualcosa. Si inventa un costume e comincia ad occuparsi della giustizia di quartiere. Scoprirà molto presto che la vita del vigilante è molto diversa da quella dei fumetti. Ecco, Frank è uno psicopatico, una persona disturbata mentalmente, non è in grado di distinguere i crimini dalle banali prepotenze. E' soggetto ad allucinazioni splatter/religiose. Segnalo questa recensione a riguardo davvero esauriente.

Hard Candy - film Indie del 2005, interpretato da Ellen Page e Patrick Wilson. Il film è quasi teatrale, dato che si svolge prevalentemente in una/due stanze e affronta il tema della pedopornografia. Oltre a stravolgere, diciamo, la fiaba di Cappuccetto Rosso. Film potente e recitato davvero bene. Perché un buon vigilante deve avere cervello prima che muscoli.

Special - film del 2006 con protagonista Michael Rapaport che interpreta Lens, un giovane che, dopo aver assunto un farmaco antidepressivo sperimentale, comincia a sviluppare tutta una serie di poteri come la levitazione e telepatia. O forse ne è solo convinto. Userà le sue capacità per fare del bene. O forse ne è solo convinto.

Il tema ovviamente è stato anche approfondito da altri media.
In particolare i videogames hanno gestito in modo più o meno superficiale la tematica.
Il top, per quello che mi riguarda, è Hotline Miami. Ne avevo più o meno parlato qui.
Altri videogames degni di nota sono The Punisher, non fosse altro per le fatality estreme da infliggere ai cattivoni e la serie a scorrimento Final Fight della Capcom.
In realtà, eccezione fatta per Hotline Miami, poche volte i videogames hanno affrontato la tematica in modo originale, dato che a un giocatore principalmente piace picchiare i cattivi senza troppe menate.

Veniamo anche alla vita reale, o meglio, quello che non riguarda le opere di finzione che sono comunque reali, no?
Phoenix Jones e il suo costume strafigo
Negli USA, ad esempio esistono differenti gruppi come il Real Life Superhero Project, dal taglio abbastanza ludico rispetto ad altri che prendono la cosa più seriamente come i Rain City Superhero Movement di Seattle ed in particolare Phoenix Jones (AKA Ben Fodor) artista marziale di MMA dedito alla lotta al crimine con diverse denunce sul groppone e una predilizione per l'uso del MACE, spray al peperoncino.
Entomo e il suo costume...

E' di qualche giorno fa la notizia che in Messico diverse persone armate e mascherate si sono organizzate per difendere i propri averi dai narcotrafficanti e dai cartelli in generale. Si tratto  però di un fenomeno un po' diverso, dato che è si parla di un gruppo di persone esauste e dimenticate che ha scelto la via della giustizia fai da te.

E l'Italia? Per l'Italia sembra esserci solo tale Entomo ovvero l'uomo insetto, che pattuglia le strade di Napoli e che è balzato alle attenzioni dei media qualche anno fa.

Per approfondire l'argomento consiglio la lettura di HEROES IN THE NIGHT, blog che si occupa in modo dettagliato del fenomeno RLSH. 
Solo per anglofoni ma ne vale la pena.
E nel caso in cui abbiate deciso di tentare la carriera dei supereroi è doveroso visitare il world superhero registry dove registrare il proprio nome da giustiziere, area di attività, costume etc.


mercoledì 22 maggio 2013

Crossed, Crossed Family Values e Crossed Psycopath



Da qualche tempo leggo fumetti solo in formato digitale.
E da quando ho comprato un tablet android li leggo ancora più volentieri.
Ed è di fumetti, appunto, che si parla, dato che il tempo scandinavo non mi permette di fare altro se non starmene inchiodato sul divano a leggere.
In pratica spendo la domenica più assurda (da un punto di vista climatico) degli ultimi tempi a leggermi Crossed e due spin off per un totale di 24 albi.
Procediamo con ordine.

File:Crossed.jpgCrossed è una serie di 12 numeri a fumetti alla firma di Garth Ennis.
Piccolo preambolo biografico: Ennis è uno dei più grandi sceneggiatori di fumetti viventi.
Ha firmato opere crude e dissacranti quali Preachers e Chronicles of Wormwood, una serie di cacciatori di supereroi chiamata The Boys, una roba malsana e sghignazzosa che si chiama The Pro (una prostituta che acquisisce poteri tipo Supergirl ed entra a far parte di una specie di Justice League)
Il suo stile è blasfemo, ironico ed estremamente orientato all'estetica della violenza.
Lo adoro soprattutto per questo.

Mi sono avvicinato a Crossed pensando di avere a che fare con una roba simile, cioè tanta violenza e tanto humor nero. Invece mi trovo di fronte ad un qualcosa che non ha la minima ironia.
La trama, in estrema sintesi, è: un morbo di origine sconosciuta si scatena sulla terra. Gli infetti manifestano delle escoriazioni sul volto a forma di croce (da qui il termine). Non solo, gli infetti diventano delle creature dedite alla violenza più estrema, esseri di pura malvagità che trovano nel dolore inflitto ed autoinflitto l'unica ragione di vita. Il divertimento, la ricerca del piacere per queste creature, deve coincidere col dolore e con la sofferenza.
Demoni in tutto e per tutto.
Crossed è un fumetto di ambientazione post-apocalittica, dove un gruppo di sopravvissuti cerca di sfuggire alle orde di infetti e di, appunto, sopravvivere.
Ok, ce ne sono tipo duemila di fumetti così.
Però nulla di quello che mi è mai capitato raggiunge tali livelli di violenza e di perversione.
Se proprio dovessi fare un paragone, la cosa che più si avvicina agli infetti di Crossed sono gli zombie extradimensionali ideati da Brian Keene in The Rising.
Però rimane la componente grafica davvero estrema.

In Crossed, in oltre, non c'è la minima empatia coi sopravvissuti.
Sono umani che cercano disperatamente di arrivare al giorno dopo, schiavi di un istinto di sopravvivenza così pompato dalla situazione tremenda in cui sono stati inseriti da spingerli, di fatto, ad agire in modo codardo ed egoista. Terribilmente egoista.
Che dire, il sangue scorre a fiumi, scene davvero disturbanti e una storia che fila dritta come un trattore.
Da non perdere.

Poi il brand ha reso bene e alla firma di David Lapham (che conoscevo per Harbinger ma scopro che ha fatto un fantastigliardo di roba) trovo due spin-off: Family Values e Psycopath.
Del primo spin-off non riesco a parlare benissimo, perché l'ambientazione è uguale a quella di Ennis (ovviamente) però manca quella trama coinvolgente che caratterizzava i primi numeri. Spesso ci si trova a guardare scene di estrema violenza solo e soltanto fine a se stessa. Plot in quattro righe: seguiamo le gesta di Addy, figlia maggiore di una numerosa famiglia di rednecks iperreligiosi con seri problemi di incesto alle prese con l'infezione.




Psycopath, invece, merita. E molto.
Siamo sempre nello stesso posto, con gli stessi problemi.
Il mondo è in rovina a causa di folle di degenerati infetti.
E seguiamo un gruppo di sopravvissuti.
Che cercano di sopravvivere.
E nel farlo salvano la vita ad un altro sopravvissuto che promette loro di condurli verso un luogo sicuro, presidio militare, dove si sta sviluppando la cura per il morbo. In realtà però costui è appunto lo psicopatico del titolo, un assassino seriale con diverse turbe a sfondo sessuale. E con un preciso piano in mente.
Di Psycopath mi è davvero piaciuta sia la caratterizzazione dei Crossed.che quella di Harold Lorred, il protagonista della serie.
I Crossed di Psycopath caso organizzati in orde simili ai berserker dei miti norreni. Con dei rituali e delle scelte estetiche piuttosto azzeccate

Oltretutto in questa serie le trovate di violenza fine a se stessa sono più contenute.

Nel complesso Crossed non è un prodotto per tutti, anzi, bisogna avere uno stomaco forte ed un'apertura mentale non accecata da una morale incline allo scandalizzarsi. Però è un prodotto meritevole di essere letto e criticato.
Come spesso accade mi viene da chiedermi se in Italia un prodotto di questo tipo avrebbe mai trovato un editore.

lunedì 13 maggio 2013

Gerald Brom, Wayne Barlowe e le fonti di ispirazione

Da qualche settimana sto lavorando ad un racconto ambientato in un setting tipo "mondo morente".
Sono ancora nelle fasi di design dei personaggi, però ho la trama ben delineata in mente e spero di riuscire a tirarci fuori qualcosa di decente.
Spero.
Ho la ferma convinzione che le idee, l'ispirazione, seguano una forza precisa, la forza preponderante nell'universo, cioè la forza gravitazionale.
Quello che voglio dire è che se si riescono ad accumulare un determinato tipo di sensazioni allora le idee cominceranno a fioccare perché attratte da un nucleo di idee consolidate che formano una specie di pozzo gravitazionale dell'ispirazione.

Certo, è una mia opinione e può benissimo essere considerata una minchiata.
Però con me funziona e per ora continuo a seguirla.
E dato che il setting è appunto legato ad una tematica di mondo morente (in realtà è una sorta di fantasy post-apocalittico), ho passato un bel po' di tempo a spulciare le tavole di due artisti che sono stati di grande ispirazione perché legati agli aspetti più cupi del fantasy.

Il primo è Gerald Brom, conosciuto semplicemente come Brom (che già è un nome fantasy abbastanza cazzuto, un certo Paolini ne sa qualcosa).
Illustratore americano che ha lavorato per la TSR (Dark Sun in particolare), WotC, Blizzard, Dark Horse. Specializzato nel rappresentare figure legate al fantasy in chiave dark.
Segue una breve gallleria del materiale che ho visionato e che mi ha colpito.

 


Il secondo autore è per me una sorta di mito. L'ho scoperto diversi anni or sono e l'ho sempre venerato per l'uso incredibile dell'aerografo e le caratterizzazioni del pantheon infernale ispirate dal Liber Juratus di Onorio di Tebe. Parlo di Wayne Barlowe,  artista inglese che ha collaborato alla realizzazione di prodotti quali Avatar di Cameron, Titan A.E. Hellboy ed Hellboy the Golden Army e altra roba mainstream.

Oltre ad aver ideato un bestiario alieno poi serializzato da Discovery Channel.
Ok, fine del panegirico sul geniaccio.
Ecco un estratto della sua gallery.
 


Chiudo con la versione Barloweniana della Mona Lisa:

lunedì 6 maggio 2013

Torrent, Streaming e il diritto di recesso




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Tra le cose fatte nel week end, annovero la visione di TPB - AFK, documentario visionato rigorosamente in streaming il cui acronimo sta per The Pirate Bay - Away From Keyboard.

Il film parla delle vicissitudini dei tre fondatori di uno dei più grandi portali di ricerca per la condivisione di files sul protocollo P2P e magnet-link.
In particolare il film, che in quanto documentario cerca di avere un taglio "positivista", lascia trapelare una forte simpatia nei confronti dei tre fondatori (broket, TiAMO, anakata) e una grande antipatia nei confronti del sistema di giustizia svedese che di fatto è al servizio del giustizialismo delle lobby americane.

Away From Keyboard è il termine scelto per la risposta ad una domanda del pubblico ministero sulle relazioni "nel mondo reale". Il PM chiede ai ragazzi fondatori del portale se hanno mai incontrato tale persona nel mondo reale e broket risponde "l'abbiamo incontrato away from keyboard perché per noi internet è reale".

A parte le varie riflessioni sul film che risulta comunque godibile e consigliato, volevo fare alcune considerazioni sulla moderna fruizione delle opere d'arte.

Preambolo del secchione: ai tempi dell'università studiai un saggio di Walter Benjamin intitolato L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Il saggio, celebre tra gli addetti, si proponeva di analizzare gli impatti del pubblico nei confronti dell'arte e degli artisti in un'epoca che permetteva la frammentazione del prodotto unico.

Parafrasando, ad oggi e da qualche anno si potrebbe parlare dell'opera d'arte nell'epoca della sua fruibilità gratuita.

Streaming, torrent, P2P eccetera sono tutti strumenti che la tecnica moderna mette a disposizione per accedere ad opere d'arte più o meno mainstream (il termine pop è ormai totalmente privo di senso che andrebbe abolito).

Parlo della possibilità di accedere a media di qualsiasi tipo: musica, libri, videogames, comics, film, software attraverso una moltitudine di portali e strumenti di condivisione senza pagare nulla se non un abbonamento flat.
A tal proposito, basterebbe mettere un limite per bloccare il fenomeno. Ma il discorso sarebbe simile al limitatore di velocità sulle automobili.

Lo scontro che si genera è complesso, perché da una parte ci sono i produttori e i creatori che correttamente vogliono vedersi riconoscere un compenso per la loro opera ed il loro lavoro.
Quindi si cerca di personalizzare l'opera in modo da renderne l'acquisto preferibile (contenuti speciali, cofanetto personalizzato, accesso a contenuti esclusivi, ecc). Oltre ad altri espedienti sui quali tornerò più avanti.
Dall'altra parte invece si assiste al fenomeno del fruitore di contenuti.
Che è una tipologia piuttosto complessa e che si potrebbe frammentare in categorie differenti:

downloader compulsivo - scarica tutto quello che può, fruendo una minima percentuale di quello che scarica. Avete mai visto la trasmissione Sepolti in Casa? ecco, costui è l'equivalente in termini di software. Accumula terabyte di roba che probabilmente non godrà mai.
downloader selettivo - tende a selezionare solo una tipologia di prodotto (film, videogiochi, programmi) alla quale di solito accede dopo una attenta ricerca su siti specializzati e di solito fruisce di tutto il materiale che scarica. I prodotti migliori hanno l'onore di passare dall'hard disk alla parete, il resto viene probabilmente cestinato. 
downloader speculativo - il vero criminale, cioè colui che scarica allo scopo di rivendere il materiale scaricato illegalmente. Due righe è il massimo che posso dedicare a questa bieca tipologia.
downloader valutativo - è la categoria pubblicamnte più diffusa anche se, a conti fatti,  è probabilmente è quella meno diffusa. Si tratta infatti del downloader che scarica allo scopo di valutare il prodotto e, nel caso sia meritevole, lo compra allo scopo di sostenere l'industria e l'artista. Questa categoria merita qualche considerazione in più per un motivo molto semplice: per i prodotti artistici non esiste il diritto di recesso.

Ecco, vado al cinema, vedo un film e mi fa schifo. Se esco prima della fine del termine della proiezine nessuno mi rimborserà i soldi del biglietto. Se compro un libro e risulta essere una presa per i fondelli, nessuno mi rimborserà i soldi.Stesso dicasi per un cd. Eppure se acquisto una lavatrice o una console e non funziona, posso restituirla e richiedere un buono per comprare altri prodotti.
Allora perché non fare lo stesso per servizi mal funzionanti?
Perché la bontà di un prodotto simile è al 70% soggettiva probabilmente (altro discorso per i software non ludici, in parte) e quindi non è dimostrabile l'insoddisfazione. In pratica sarebbe pieno di furbi che scaricano, godono ma non pagano.

L'industria dell'intrattenimento spesso si concentra e si ingegna su metodi più o meno leciti per dissuadere dall'utilizzo di prodotti cosiddetti pirata. Quindi si passa dal metodo coercitivo all'anteprima (fare ascoltare/visionare un estratto che è poi la versione evoluta dei trailer cinematografici) per passare alla leva della morale, la classica "se facessero tutti così l'industria morirebbe". Ed è vero, ma è anche vero che se pagassimo tutti le tasse le pagheremmo tutti meno, se tutti rispettassimo l'ambiente non ci sarebbe inquinamento, se fossimo tutti meno egoisti la fame nel mondo non esisterebbe, se tutti fossero della stessa religione non ci sarebbero le guerre (ehm???).
Il punto è che siamo circa 7 miliardi di individui e non è statisticamente possibile che tutti facciano la stessa cosa. In pratica si tratta di argomentazioni retoriche che trovano, come tutte le argomentazioni retoriche, terreno fertile.
 Sia chiaro, non voglio giustificare chi scarica materiale illegalmente dalla rete piuttosto che chi della creazione e distribuzione di tale materiale ne fa il proprio business. I produttori e i distributori hanno la mia completa comprensione come chi vuole accedere ad una serie di prodotti senza avere sufficienti mezzi (economici) per poter appagare le proprie passioni.
È una tematica complessa senza ovviamente una risposta giusta.
Personalmente mi sento di consigliare di pagare almeno quelle opere cosiddette indie o autoprodotte dato che i guadagni sono davvero miseri e contemporaneamente evitare il mainstream dal momento che appiattisce i gusti verso una forma di divertimento industriale. Però è comunque una personalissima opinione, mentre sono qui a cercare di capire se comprerò o meno TPB - AFK